Quando Non Vogliamo Vedere: Percezione Oltre la Visione e la Fragilità della Consapevolezza

Sono sempre stata affascinata dall’idea di percezione — non solo ciò che vediamo, ma ciò che rifiutiamo di vedere. C’è una danza delicata, spesso dolorosa, tra chiarezza ed evitamento, tra il sapere qualcosa profondamente nelle ossa e il fingere che non sia lì.

The Blind di Maeterlinck è stato uno di quei libri che sono rimasti con me in modi che non mi aspettavo. I personaggi ciechi, persi in una foresta, in attesa di una guida che è già morta, sono circondati non solo dall’oscurità letterale ma da un’incertezza inquietante. Quello che mi ha colpito di più è stato quanto il non vedere possa rivelare — sì, sulla mancanza di aiuto, ma anche su negazione, dipendenza, vulnerabilità. Mi ha fatto riflettere su tutti i modi sottili in cui scegliamo la cecità ogni giorno. Non solo per proteggerci, ma perché non siamo pronti a sopportare tutto il peso di una verità.

È da qui che nasce la mia opera Blind. Non riguarda solo la cecità fisica — parla dei punti ciechi dell’anima. Di come la consapevolezza sia distribuita in modo diseguale. Di come a volte percepiamo che qualcosa non va, o che è tenero o doloroso, ma distogliamo lo sguardo dalla nostra stessa intuizione, sperando che si plachi.

In Blind, le forme verdi centrali, simili a occhi, rappresentano quella percezione — strana, aliena, emotiva. Non sono lì per vedere in senso visivo, ma per orientarsi attraverso la confusione. I viticci rossi e arancioni che le circondano sono disordinati, quasi caotici, e rappresentano come il mondo cerchi di trascinarci verso l’esterno — nelle relazioni, nelle paure, nelle aspettative sociali — prima che abbiamo compreso ciò che sta accadendo internamente.

Quello che volevo mostrare è che la percezione non avviene solo attraverso gli occhi. A volte il corpo sa prima che la mente riesca a raggiungerlo. Lo senti nello stomaco. Nel respiro. Nella tensione delle spalle. In quel momento in cui dici “Sto bene” e qualcosa dentro urla “No, non è vero”.

La mia altra opera, Sensibility, continua questa esplorazione della percezione incarnata. I petali fiammeggianti a forma di occhi non stanno solo osservando — stanno bruciando. Contengono il fuoco emotivo che nasce dall’essere profondamente consapevoli, dall’essere una persona sensibile in un mondo freddo o levigato. Non si tratta solo di fragilità — ma di portare qualcosa di vivo dentro quando tutto intorno sembra cromato, intoccabile, insensibile.

E poi c’è Mirage. Un’opera sull’essere sopraffatti dalla vista. Gli occhi sono spalancati — forse troppo — nel tentativo di cogliere tutto in una volta. Le forme floreali prendono il sopravvento, quasi come se cercassero di lenire il sovraccarico con qualcosa di più morbido, senza parole, intuitivo.

Queste opere, in modi diversi, chiedono: cosa succede quando cerchiamo di vedere tutto ma dimentichiamo di sentirlo? O quando sentiamo tutto e vorremmo poter chiudere gli occhi?

Penso che a volte dobbiamo essere onesti sulla nostra cecità scelta. Sulle cose che non vogliamo affrontare in noi stessi o negli altri. Non per giudicarle, ma per nominarle con delicatezza. Perché dietro ogni rifiuto di vedere c’è spesso una parte di noi che ancora ricorda, che ancora soffre, che ancora spera.

Al contrario, la percezione incarnata non è sempre ordinata o spiegabile. È torbida, mutevole, scomoda. Ma è reale. È il modo in cui il corpo dice: “Questo conta, anche se non riesci ancora a metterlo in parole.”

Per me, dipingere diventa uno spazio per contenere queste contraddizioni. Uno spazio in cui non devo scegliere tra cecità e visione, emozione e analisi. Posso lasciare che le forme organiche strane, i viticci luminosi, gli sfondi cromati pesanti coesistano. Posso lasciare che la confusione sia bella. Posso lasciare che il disagio sia onesto.

E forse è proprio questo che inseguo — non la chiarezza, ma una sorta di verità sensoriale. Quel tipo che senti quando sei sola e il corpo ricorda qualcosa prima che lo facciano i pensieri. Quel tipo di verità che non urla, ma mormora piano sullo sfondo della tua vita.

Non dobbiamo sempre guardare più a fondo. A volte, dobbiamo solo ascoltare ciò che il corpo ha cercato di mostrarci da sempre.

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