La profondità di un colore
Tra i colori dello spettro, l’oltremare si è sempre distinto. Il suo stesso nome, oltre mare, porta con sé un senso di distanza e mistero. A differenza degli azzurri più chiari che rassicurano o delle tonalità giocose che rinfrescano, l’oltremare resiste al contenimento. Non è un azzurro gentile né un turchese decorativo. È vasto, impenetrabile e senza fine, come uno sguardo che rifiuta di essere trattenuto. Guardare l’oltremare significa sentirsi attratti verso l’esterno, oltre la superficie della tela, verso un orizzonte senza confini.

La storia di una tonalità preziosa
Per secoli, l’oltremare è stato il pigmento più ambito nella tavolozza dei pittori. Ricavato dal lapislazzuli estratto in Afghanistan, viaggiava attraverso i continenti, giungendo a caro prezzo negli studi dei maestri europei. Nel Rinascimento era spesso riservato alle vesti della Vergine Maria, con un costo secondo solo all’oro zecchino. Il colore divenne sinonimo di sacro, di ciò che non può essere misurato.
Artisti come Giotto e Beato Angelico usarono l’oltremare per avvolgere i loro santi in un’aura di eternità. La tonalità, costosa e rara, era meno un pigmento che un gesto metafisico: il tentativo di catturare l’infinito su intonaco e tavola. Dipingere con l’oltremare significava riconoscere i limiti della rappresentazione, ammettere che il divino non poteva mai essere contenuto, ma soltanto suggerito attraverso la profondità.
L’oceano e il cielo
La forza dell’oltremare risiede nella sua dualità. È il colore del cielo nel suo punto più profondo, dove l’atmosfera sfuma nel vuoto dello spazio. È anche il colore dell’oceano nel suo punto più insondabile, dove la luce scompare nelle acque oscure. Sia il cielo che il mare diventano metafore dell’infinito—estensioni senza fine, soglie tra il visibile e l’ignoto.
Nella letteratura, questa immagine ritorna più e più volte. Dal “mare color del vino” di Omero al Moby-Dick di Melville, l’oceano è sempre stato simbolo dell’insignificanza umana di fronte all’infinito. Anche il cielo, nella poesia di Rilke o nei film di Tarkovskij, diventa palcoscenico della trascendenza. L’oltremare, sospeso tra queste due immensità, ne è l’eco cromatica.
L’infinito nell’arte simbolica
L’arte simbolica contemporanea ricorre spesso all’oltremare per trasmettere desiderio, profondità e ricerca di senso. Un ritratto surreale immerso nell’oltremare può suggerire serenità e vertigine al tempo stesso. Forme botaniche su uno sfondo oltremare acquisiscono una carica ultraterrena, come se fluttuassero in uno spazio senza confini.
L’arte fantasy utilizza l’oltremare come porta verso l’altrove: il cielo incantato, l’oceano eterno, il regno del sogno oltre la veglia. È una tonalità che non chiude, ma apre verso l’esterno, ricordando all’osservatore che l’immaginazione, come l’orizzonte, non ha fine.
Il desiderio umano dell’infinito
Perché l’oltremare ci commuove così profondamente? Forse perché incarna la contraddizione al centro dell’esperienza umana: le nostre vite finite poste contro un universo infinito. Contemplare l’oltremare significa sentirsi al tempo stesso piccoli e immensi, umiliati ed elevati. Riconosce i nostri limiti e al contempo risveglia il desiderio di trascenderli.

Questo anelito all’infinito è antico quanto l’arte stessa. Dalle grotte di Lascaux alle gallerie moderne, l’impulso è sempre stato quello di alludere a ciò che va oltre il quadro umano, di suggerire l’invisibile. L’oltremare, con le sue profondità e distanze, rimane uno dei simboli più eloquenti di questo desiderio.
Un colore che non finisce mai
L’oltremare non consola con semplicità. Ci pone davanti all’immensità. Ricorda che il cielo non ha confini, che l’oceano non ha un fondale che possiamo toccare, che l’immaginazione stessa non ha limiti. Alla sua presenza, intravediamo l’infinito—non per afferrarlo, ma per sentirne la vastità.
Vivere con l’oltremare, che sia in pigmento o in arte simbolica, significa vivere con un promemoria dell’illimitato: il mare, il cielo, l’ignoto. È una meditazione in colore, una soglia verso la trascendenza, e una promessa che ci sarà sempre qualcosa oltre ciò che riusciamo a vedere.