L’arte mixed media viene spesso descritta in termini tecnici: la combinazione di due o più materiali—pittura e collage, matita e inchiostro, digitale e supporto fisico. Ma per me non è mai stata solo una questione di materiali. È piuttosto un intreccio di mondi interiori. Il mixed media non riguarda soltanto ciò che appare in superficie, ma anche ciò che sta sotto: memoria, emozione, contraddizione, desiderio.
Oltre la tecnica: il mixed media come linguaggio
Quando lavoro con il mixed media, non sto semplicemente assemblando texture—sto assemblando voci. Ogni strato diventa un frammento di narrazione. Un disegno a matita porta vulnerabilità; una pennellata di colore aggiunge umore; un frammento di collage interrompe con la memoria; una sovrapposizione digitale introduce un sussurro di irrealtà.
Questa molteplicità non è ornamento, ma significato. L’arte mixed media incarna la verità che non siamo esseri singolari, ma compositi: di esperienze, di contraddizioni, di identità che mutano nel tempo.
Gli strati come emozione
Ogni livello di un’opera mixed media è un gesto emotivo. Una linea di grafite può tremare di intimità, mentre tratti acrilici esplodono di rabbia o urgenza. Segni digitali possono sembrare spettrali—mezzi presenti, mezzi assenti—specchiando pensieri che lampeggiano ai margini della coscienza.
Sovrapponendo questi gesti creo una mappa emotiva. L’arte mixed media diventa un modo per contenere emozioni che sfuggono alla semplificazione—gioia intrecciata a malinconia, tenerezza segnata da rabbia.
Il ruolo della texture
La texture è più di superficie—è memoria resa tattile. Carta strappata, colpi ruvidi o graffi digitali evocano la crudezza dell’esperienza. Passaggi lisci suggeriscono calma o rimozione. Nel mio lavoro accosto spesso linee fragili di matita a campiture di colore saturo, creando tensione tra delicatezza e forza.
La texture nei poster o nelle stampe mixed media è ciò che dona atmosfera. Lo spettatore non si limita a vedere l’opera—la percepisce, come se sfiorasse cicatrici invisibili e tenerezze intrecciate negli strati.
Il collage come memoria
Il collage è centrale nel mio modo di intendere il mixed media. Tagliare e ricomporre significa ammettere che la vita stessa è frammentata, mai intera. Fotografie, frammenti di testo o elementi immaginati portano echi di memoria—personale o collettiva. Inserendoli, riconosco che anche l’identità è collage: pezzi raccolti, spezzati, riordinati, con cui convivere.
Il digitale come strato spirituale
Negli ultimi anni gli strumenti digitali sono diventati essenziali nel mio processo. Mi permettono di stratificare immagini con trasparenze spettrali, di sfumare i confini tra realtà e sogno. Lo strato digitale spesso somiglia a spirito—immateriale, intangibile, evanescente. Non sostituisce il tattile; lo approfondisce.
Un processo personale di narrazione
Il mio processo mixed media inizia spesso con un disegno a matita—qualcosa di intimo e crudo. Poi aggiungo colore per fissare l’umore, magari cremisi vivido o cobalto attenuato. Arriva quindi il collage: frammenti che interrompono, ricordano, radicano. Infine sovrappongo texture digitali per dissolvere i confini, per lasciare che l’opera respiri tra i mondi.
Il risultato non è un’immagine “finita”, ma una conversazione stratificata. Racconta una storia che non può essere ridotta a una sola voce.
Mixed media come autoritratto
In molti modi, ogni mixed media è una forma di autoritratto. Anche quando il soggetto non è un volto, gli strati rivelano la complessità dell’artista. Per me, è l’unico modo onesto di parlare: non con chiarezza lineare, ma con contraddizione, texture, molteplicità.
L’arte mixed media—che sia in poster, stampe simboliche o grandi tele—ci ricorda che la vita è fatta di strati. Vivere con quest’arte significa accettare che la bellezza nasca non dalla semplicità, ma dai frammenti che, insieme, generano significato.