Come i marker e i liner definiscono il mio stile grafico outsider

Quando ho iniziato a dipingere, non pensavo che sarei tornata a qualcosa di semplice come i marker. Li associavo all’infanzia, ai primi disegni su carta sottile che si arricciava ai bordi. Ma col tempo ho capito che c’è una certa onestà in quella semplicità. I marker non fingono. Macchiano subito la superficie. Non c’è modo di tornare indietro, di sfumare dolcemente, di nascondersi dietro la texture. Ogni linea è una decisione.

Questa immediatezza è diventata essenziale per il mio stile outsider. Riflette l’energia che voglio che il mio lavoro trasmetta — diretta, istintiva, imperfetta. Uso i liner per costruire la struttura, per delineare pensieri quasi nervosi. Seguono il ritmo della mia mano. I marker, invece, riempiono le forme di temperatura emotiva — neon, acida, terrosa, a volte metallica. Insieme creano un linguaggio visivo che è allo stesso tempo grafico e vivo, come il folklore reinterpretato attraverso una lente psichedelica contemporanea.


Il rituale del disegno

Il mio processo è lento e ritmico. Comincio con linee sottili, quasi come scrivessi. C’è qualcosa di meditativo nel ripetere piccoli motivi — petali, occhi o serpenti che si espandono sulla superficie. Lavoro per strati, passando dalla precisione alla spontaneità. I liner sono la spina dorsale — tengono la forma. I marker sono il flusso sanguigno — portano l’emozione.

Penso al disegno come a una forma di ricamo. Ogni piccolo gesto è un punto. La ripetizione di curve e puntini diventa una sorta di canto. Quando uso il nero per contornare una foglia o un occhio, mi sembra di sigillarli — dare loro dei confini prima di lasciarli dissolversi di nuovo nel colore.

Questa tensione tra contenimento e liberazione è fondamentale per me. È ciò che dà ai lavori il loro battito vitale.


Costruire il simbolismo attraverso la tecnica

I motivi a cui torno spesso — occhi, petali, serpenti, volti — fanno parte di un linguaggio simbolico che si è formato con il tempo. Quando li disegno con liner e marker, perdono realismo ma acquistano personalità. Il “fiore-occhio” diventa una creatura ibrida, metà organica e metà spirituale. I rami che ne crescono ricordano nervi o radici — un promemoria che tutto ciò che è vivo è anche sensibile.

Mi piace come il contrasto grafico tra l’inchiostro nero e i colori fluorescenti amplifica questa sensazione. Le forme sembrano quasi vibrare. È questo che intendo quando definisco la mia arte “outsider”: non nel senso accademico, ma in quello emotivo. Resiste alla perfezione. È intuitiva, ossessiva, a volte inquietante.

I marker mi permettono di costruire ritmo simbolico — colori luminosi accostati a fondi opachi e silenziosi. Il liner, con la sua precisione, aggiunge una geometria rituale, come una mappa codificata di emozioni.


Il ruolo del colore e dell’imperfezione

Una delle cose che amo di più nei marker è la loro imprevedibilità. Colano, si sovrappongono in modo irregolare. A volte due colori si incontrano e creano qualcosa di inaspettato — un alone, una macchia, una morbidezza improvvisa dentro una forma dura.

Quell’imperfezione è ciò che le rende umane. Fa parte della mia filosofia estetica: la bellezza nell’asimmetria. I colori luminosi su contorni scuri mi ricordano le icone sacre, gli arazzi popolari o la pelle tatuata. Portano dentro di sé tracce del gesto manuale, del corpo.

Quando guardo i pezzi finiti, mi sembrano pagine di un bestiario moderno — fiori che vedono, creature che ascoltano, emozioni che prendono forma. Ognuno è vivo di minuscole imperfezioni, come un sistema nervoso disegnato a inchiostro.


Perché questa tecnica rispecchia la mia voce

Per me, l’unione tra liner e marker non riguarda solo i materiali; riguarda il tipo di sincerità che chiedono. Non c’è un tasto “annulla”, nessuna possibilità di mascherare. Ogni linea è un atto di fiducia. È probabilmente per questo che torno sempre a questi strumenti. Mi fanno sentire connessa al disegno come a un rituale — qualcosa di istintivo, antico, personale.

Quando qualcuno definisce il mio stile “grafico” o “outsider”, lo prendo come un complimento. Significa che il lavoro mantiene una sua selvatichezza, che non si adatta perfettamente ai trend. I colori possono essere troppo forti, la simmetria troppo strana, il simbolismo troppo diretto — ma è proprio questo che cerco: arte viva, un po’ sbilanciata, profondamente umana.

Ecco cosa significano per me i marker e i liner. Non modellano solo le mie immagini — modellano il mio ritmo, il mio modo di guardare, di respirare dentro l’atto stesso del disegno.

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