L’arte non è mai stata soltanto un’immagine su carta. Per me è stata uno specchio, una compagna, a volte ferita, a volte rimedio. Quando creo o mi circondo di arte murale—che sia un poster simbolico, un ritratto fantastico o una semplice stampa botanica—non scelgo la decorazione. Scelgo un processo di riparazione interiore.
Il linguaggio del colore
Il colore è la prima medicina. Il cremisi mi permette di liberare un’intensità che non riesco a dire a voce; il cobalto mi ancora quando mi sento dispersa; il verde porta equilibrio nei miei giorni. Ogni tonalità con cui lavoro non è neutra, ma carica di emozione.

Dipingerla, o anche solo appendere un poster colorato al muro, significa lasciare che quell’emozione esista fuori di me. La stanza diventa un’estensione del mio paesaggio interiore, un luogo dove i sentimenti che non riesco a esprimere a parole possono vivere visibili e senza vergogna.
La forma come struttura
La forma dà figura all’informe. Una linea frastagliata può portare il peso della rabbia; una composizione rotonda e fluida può placare l’agitazione dell’incertezza. Quando disegno stampe murali simboliche, noto quanto istintivamente il mio corpo guidi il gesto: affilato quando ho bisogno di difendermi, morbido quando ho bisogno di perdonare.

Queste forme, una volta fissate sulla carta, mi offrono stabilità. Mi ricordano che il caos può essere contenuto, che l’identità—pur mutevole—può prendere forma, anche solo temporaneamente. Appendere tali opere in casa significa riconoscere che la riparazione non è perfezione, ma dare forma: un modo per contenere il dolore senza lasciare che mi dissolva.
L’emozione come bussola
L’arte mi insegna a seguire il sentire invece che zittirlo. Quando creo, lascio che la tristezza si trasformi in palette ombrose, la gioia in motivi luminosi, il desiderio in ritratti surreali. Ogni poster che disegno diventa una mappa emotiva, che traccia non solo dove sono stata ma dove desidero andare.
Per questo motivo, circondarmi di stampe murali—mie o di altri—non è un lusso. È pratica. Ogni sguardo a un poster sulla parete mi ricorda che le emozioni non sono nemiche, ma guide.
Guarire attraverso le relazioni
L’arte mi permette anche di elaborare le relazioni. Nei miei lavori compaiono volti—a volte amanti, a volte amici, a volte archetipi di intimità e distanza. Dipingerli o stamparli significa fare spazio alla complessità: tenerezza, dolore, ambiguità.

Quando questi ritratti diventano poster appesi alle mie pareti, agiscono da testimoni. Mi ricordano che le relazioni, anche se irrisolte, possono ancora essere onorate attraverso forma e colore. Mi permettono di convivere con la memoria senza esserne consumata.
Identità come lavoro in corso
Attraverso l’arte metto in scena la mia identità. Sono io il cremisi vibrante o il grigio attenuato? L’abbondanza eclettica o la forma disciplinata del minimalismo? Creando e vivendo tra stampe artistiche, accetto che l’identità non sia un’essenza fissa ma una stratificazione di stati d’animo, simboli, contraddizioni.
Questa accettazione è di per sé guarigione. Significa che non devo “completarmi” per essere intera. Posso essere una parete-galleria—non finita, abbondante, mutevole—eppure ancora coerente.
L’arte come riparazione aperta
Parlare di arte come auto-riparazione non significa che essa guarisca in modo definitivo. Piuttosto, offre continuità. Ogni poster che appendo, ogni stampa simbolica che creo, è un frammento di riparazione: un promemoria che guarire non è una meta ma un ritmo.
Nel soggiorno, nello studio, sulle pareti dove l’arte simbolica e fantastica si raccoglie, vivo con questi frammenti. Non chiudono del tutto le ferite, ma impediscono loro di restare mute. Permettono alla bellezza di crescere in luoghi che un tempo sembravano spezzati.
L’arte mi ripara non cancellando la frattura, ma dandole forma, colore, presenza. E in quella presenza trovo il coraggio di continuare.